Naja tripudians

« Poetessa del capriccio, della passione fulminea, violenta e fuggevole », così vividamente Benedetto Croce definì Annie Vivanti che affacciatasi alle lettere fra il ’90 e il ’91 alla grande ombra di Carducci, fu scrittrice libera e fresca ed ebbe, come disse Pancrazi, « un posto a sé fra la Serao e la Deledda ». Questo romanzo scritto nel 1921, è fra le opere più vive della Vivanti.
Naja tripudians, la Naja egiziana, è un cobra pieno di meravigliosa grazia, puro nelle curve “come la voluta d’un violino”. Ma tale apparente bellezza nasconde un veleno mortale. Quello stesso ché subdolamente s’insinua tra lo sfarzo elegante della aristocrazia, racchiusa nella sua dorata e felice bellezza. E’ con struggente desiderio che Leslie e Myosotis, le giovanissime protagoniste del romanzo si accostano ignare a quel mondo. Cresciute e vissute in provincia, fra sereni e dolci affetti familiari, ingenue nella loro giovanile innocenza e ricche di sogni, vengono abbagliate dagli sfarzi e dal lusso che promette la città: uno stile di vita unico al mondo per modernità e raffinatezza. Così come può essere mortale il veleno del bellissimo cobra altrettanto pericolosa si rivela la società dorata che attrae le due fanciulle. Naja tripudians, specchio della corruzione e della malavita, « può anche dirsi - come scrisse Pietro Pancrazi - (e non soltanto per l’infausta cocaina) un romanzo stupefatto »